VIDEO – Introduzione alla relazione del Prof. Marco Moschini

VIDEO – Introduzione alla relazione del Prof. Marco Moschini

 

Introduzione alla relazione del Prof. Marco Moschini

06.04.2019

 

In uno degli incontri formativi della nostra Confraternita della Sacra Spina era emerso il desiderio di offrire una opportunità di riflessione alla Città del Vasto su uno dei temi di attualità. Dal confronto emerso con il priore, e il Direttivo della stessa, era venuto fuori che una delle urgenze sulle quali ancora poco si interviene è quella del rapporto educativo di responsabilità tra il mondo degli adulti e quello dei più giovani. Volevamo metterci in dialogo con tutti affrontando un tema nel quale si gioca il nostro futuro: ove non ci fosse più quella stima tra le generazioni non si creerebbero più ponti verso il domani, con le sue insidie e con le sue risorse. A cosa interessa ad una Confraternita e alla nostra comunità ecclesiale un tema del genere è presto detto con l’espressione del commediografo romano Terenzio (II sec. a.C.): homo sum, humani nihil a me alienum puto”. Non possiamo non cercare ciò che fa parte dell’uomo e chiederci se viene vissuto in maniera umana. Vivere in modo umano tutto ciò che ci circonda e sottrarre al caso il nostro futuro.  Si tratta di imparare a cercare il senso di ciò che facciamo usando tutte le nostre facoltà.

Da qui l’interesse per l’accompagnamento dei ragazzi e dei giovani verso il mondo adulto, quell’accompagnamento che porta in sé tante soddisfazioni ma anche mille fragilità e sconfitte. Siamo contenti di guardare negli occhi i nostri giovani e di riuscire a scoprirli ricchi dentro, ma in troppe situazione si prende consapevolezza della rottura di dialogo tra le generazioni forse per la mancanza di significatività da parte del mondo adulto. Tante volte si prende atto di giovani responsabili e robusti che pur tuttavia – per troppi adulti – appaiono delle “eccezioni”. Abbiamo voluto perciò approfittare di questi giorni di preparazione alla festa della Sacra Spina per invitare tutti a riflettere – e poi ad intervenire – in vista di un rilancio di responsabilità da parte di chi non può tirarsi indietro nella nobile arte di insegnare a vivere, continuando ad imparare a farlo. L’immagine della Spina venerata da secoli a Vasto rende plasticamente anche questo richiamo alla realtà, alla concretezza a volte anche dolorosa: viviamo in “questo” tempo e in “questo” mondo; analogamente però la stessa Reliquia rimanda alla mitezza del Redentore che ricorda a tutti quella strada che si indica con l’esempio e non con la violenza. L’incontro di questa sera ha l’unica pretesa di agevolare la riflessione e incoraggiare tutti a fare la propria parte sapendo stare al proprio posto. È interessante scoprire che la parola posto deriva dal latino “posĭtum”, participio passato di “ponĕre” che significa appunto porre o collocare. Dalla stessa radice deriva anche la parola positivo quasi a ricordarci che c’è un positivo che deriva dal saper stare al proprio posto, dal saper vivere la propria vocazione, stagione di vita rapporto educativo. Da qui il bisogno di non arrenderci al pessimismo inerte di chi crede che non ci sia nulla da fare e che le cose andranno sempre peggio. Vogliamo considerare seriamente i problemi senza illuderci di soluzioni semplicistiche, ma cercando attraverso un ascolto più profondo della realtà, quale possa essere una via percorribile in vista di una vita aperta a quel di più che la dignità di ogni persona merita.

Per incoraggiare la nostra riflessione, abbiamo invitato il Prof. Marco Moschini che ringraziamo per la disponibilità che subito ci ha mostrato nel condividere il frutto dei suoi studi e della sua esperienza educativa sottraendo del prezioso tempo ai suoi numerosi impegni in Italia e all’Estero. Il Prof. Moschini è docente di Filosofia Teoretica presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione della Università di Perugia. Egli si è formato alla scuola dell’ontologismo metafisico e critico, laureandosi prima a Perugia e poi con dottorato a Urbino. La sua attività di ricerca è iniziata fin dal periodo di formazione concentrandosi su specifici aspetti dell’ontologia, del pensiero metafisico e della dialettica. Ha studiato in particolare l’evoluzione del tema della coscienza e della sua ascesi nel pensiero dell’ontologismo critico italiano. Ha affrontato poi il pensiero di Cusano sia sul versante della ricognizione critica del suo destino storiografico, sia concentrandosi sui suoi concetti di Principium, di Sapientia e sul tema dell’ontologia e della figura; intorno a questi temi ha prodotto monografie e saggi, estendendo il suo campo di indagine al concetto di “Idea” nella logica idealistica. Oggi è impegnato anche sul versante di studio relativo ai problemi dell’ontologia della persona. È membro della Fondazione Moretti-Costanzi e presidente del Centro “Leone XIII” di Perugia.

A lui abbiamo chiesto un contributo sul tema educativo che verrà poi declinato anche nelle prossime serate della Quintena nella nostra Chiesa di Santa Maria Maggiore. Se le catechesi in chiesa focalizzeremo la nostra attenzione sul percorso di liberazione dalle illusioni delle dipendenze che da un punto di vista umano – e quindi anche spirituale – lasciano le persone sempre più vulnerabili e meno libere; questa sera avvieremo una riflessione sul vuoto che ogni uomo porta in sé e che rischia di essere riempito da “cose” che, o non saziano, o soffocano una sete più profonda. Il tema infatti scelto per l’occasione è: “Dal bisogno al sogno. Gli adulti di fronte ai giovani”. In queste parole suggestive ed evocative cogliamo senz’altro un ascolto del grido, più o meno manifesto, che proviene dal giovane e che continua ad elevarsi dalla terra, forse perché alla ricerca di qualcos’altro. Il titolo della relazione sembra indicare a tutti qualcosa che rischiamo di considerare inutile o legato alla pura fantasia giovanile, come il sogno. Ma siamo ancora capaci di sognare? È davvero ancora necessario il sogno? Che cosa ha a che fare con la terra che calpestiamo o il mare che scrutiamo. Terra e mare che qui a Vasto si baciano. Lo sanno bene quelli che su un mare cercano un sogno di vita nuova in fuga da terre sempre più inospitali, ma forse dovremmo riscoprirlo anche noi abituati a scrutare l’infinito del mare, ma troppe volte bloccati ai progetti della semplice prossima estate. Il mare è simbolo di lotta e di viaggio verso un approdo che tutti dobbiamo ancora raggiungere. Adulti e giovani questa sera dobbiamo interrogarci sul viaggio ancora da realizzare: quello verso un futuro in cui ci sia fiducia nel bene, quel bene che le generazioni possono comunicarsi. “Adulti di fronte ai giovani” – cita il titolo – forse perché stando di fronte ci si può guardare negli occhi e comunicare quei sogni che in fondo si assomigliano, perché portano in sé sempre una speranza di felicità per giovani ed adulti.

Chiudo con un racconto.

Un giorno Meher-Baba fece ai suoi discepoli questa domanda: “Perché le persone quando sono arrabbiate gridano?”.

I discepoli ci pensarono un istante poi risposero:”Perché perdono la calma; per questo gridano”.

“Ma perché gridare – ribadì il Maestro – quando l’altra persona ti sta vicino? Non le puoi parlare a bassa voce? Perché alzare la voce?”.

I discepoli diedero altre risposte, ma nessuna di esse risultò soddisfacente al Maestro.

Alla fine Meher-Baba spiegò: “Quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire la distanza dei cuori si mettono ad urlare per sentirsi più vicini; e più sono arrabbiate, più gridano per superare la loro distanza”.

Il Maestro chiese poi “E che cosa succede quando due persone si innamorano? Non gridano, parlano dolcemente, perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza è ridottissima. E tanto più si amano tanto più non parlano, ma sussurrano e si guardano negli occhi. Alla fine non hanno neppure bisogno di lunghi discorsi. Il loro stesso cuore parla. Avviene questo quando due persone si amano”. Concluse Meher-Baba: “Quando discutete non lasciate che i vostri cuori si allontanino; non dite parole che aumentino la distanza. Così facendo, infatti, potreste alla fine diventare incapaci di riavvicinarvi. Abbracciatevi, invece, guardandovi negli occhi e state vicini, tenendovi per mano e stringendole forte. E’ questo il modo per superare le distanze”.

Che l’incontro di questa sera ci aiuti a superare le distanze in ascolto del vero bene dell’altro.

Grazie dell’attenzione e buon ascolto.

Don Domenico Spagnoli

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