VIDEO – La logica della croce di don Gianni CAROZZA (Biblista)

VIDEO – La logica della croce di don Gianni CAROZZA (Biblista)

Chiesa del Carmine – Vasto 2 settembre 2018

XI Cammino interregionale di Fraternità delle Confraternite di Abruzzo e Molise
Immagini di Nicola Cinquina

1 Corinzi 1,17-25

17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti:

Distruggerò la sapienza dei sapienti
e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.

20Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Grazie per questo invito che è un’occasione per me e per voi di meditare sulla croce di Cristo. Più precisamente come abbiamo sentito dall’apostolo Paolo siamo invitati a meditare e prendere in considerazione, fare nostra, la parola della Croce. In greco è o logos tou staurou, il logos della croce. E quel termine logos certamente si può tradurre “parola”, ma anche si può tradurre, e forse Paolo pensava soprattutto a questo, si può tradurre “senso”, il “senso” della croce, ma io oserei dire con una traduzione che non è letterale, ma che è molto vicina a quello che Paolo vuole dire, la “logica” della croce.

Quando scrive queste cose siamo più o meno 20 anni dopo la morte e risurrezione di Gesù. Dunque non è passato molto tempo dall’evento fondatore del cristianesimo, eppure il cristianesimo si è già diffuso nel Mediterraneo. Qui siamo a Corinto, quindi in Grecia. È una comunità che è già cresciuta. Ha una sua vivacità. Non immaginiamoci numeri iperbolici. Si pensa fossero magari 150 persone. Ma una comunità molto vivace che pone già dei problemi a Paolo che risponde appunto con una lettera. È una comunità anche che litiga. Già da quei tempi, come vedete era una cosa abituale. A questa comunità Paolo ricorda il principio della loro vicenda di fede, appunto la logica della croce. E se ci pensiamo un attimo colpisce che Paolo parli della parola della croce, della logica della croce e non nomini la risurrezione. Al cuore della nostra fede ci sono la croce e la risurrezione. Non l’una senza l’altra. E certamente Paolo lo sa, tant’è che se si va in fondo a questa lettera, al capitolo 15, Paolo riprende proprio questo discorso della risurrezione dicendo: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, 4 fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, 5 e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.
Poi approfondisce anche il discorso della nostra resurrezione in Cristo e della risurrezione dei morti. Ma qui, dove vuole richiamare i Corinti davvero ad essere discepoli di Cristo, sta a quello che chiamerei il nucleo incandescente della fede: la croce di Cristo, lì si è manifestata la logica di Dio, quella che gli uomini non comprendono. C’è tutta questa dialettica. Abbiamo sentito nel brano:

E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, 23 noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 24 ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. 25 Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

La logica di Dio sconvolge la nostra logica. E tutto questo è accaduto nella croce di Cristo. È quello di cui vorrei balbettare qualcosa adesso con voi, non dimenticando, come abbiamo ascoltato che questa logica di Dio si serve anche della stoltezza della predicazione. Quindi voi sarete molto clementi!
Allora vorrei dire qualcosa sulla croce di Gesù e poi sulla croce così come può essere intesa, legata alla realtà umana. E questo lo farei in quattro passi. Perdonate questa mia schematicità.

Solo qualche cenno storico alla croce di Gesù. Sono cose molto note, ma le ricordo brevissimamente. Non credo sia inutile. Gesù di Nazaret muore il venerdì 7 aprile dell’anno 30, muore per una esecuzione capitale che ha la forma della crocifissione praticata dai romani. Un’esecuzione particolarmente crudele e dolorosa che comportava una morte non rapida. Una morte che arrivava per una serie di concause, ferite, dissanguamento; un progressivo anche soffocamento per la posizione, perché il corpo anche dopo un po’ non si reggeva più; il corpo del crocifisso crollava, per cui una era una posizione in cui la respirazione diventava impossibile e dunque arrivava un arresto cardiaco; dunque una morte crudele e dolorosa. L’esecuzione capitale di Gesù avviene per mano dei romani; questo è noto, ma forse è più importante tenere presente che questa esecuzione avviene dopo un processo messo in piedi dai capi religiosi giudei: farisei, sacerdoti, sommi sacerdoti, sadducei. Uso un’espressione sintetica: i capi religiosi; i sommi sacerdoti, soprattutto coloro che avevano il potere del tempio e nel tempio. Un processo che gli studiosi definiscono poco meno di una farsa. Gesù viene catturato nel Getsemani e si procede poi al processo da parte del sinedrio, quindi da parte dei capi religiosi in tutta fretta, senza che nemmeno tutti i membri del sinedrio possano essere convocati, avendo presente con una posizione rilevante qualcuno che non era più a capo in quell’anno. Ricordate che il vangelo parla di Caifa, che era suocero di Anna, che in quell’anno era sommo sacerdote. Ma, ahimè, come succede in tante situazioni, in ogni luogo e in ogni tempo, le persone che contano non coincidono con quelle che magari sarebbero deputate a esercitare un giusto giudizio. Ed è un processo in cui a Gesù di Nazaret non è dato di argomentare, di difendersi, di avere dei testimoni. Un processo condotto in tutta fretta anche perché lo si vuole concludere entro la notte per non entrare a contaminarsi nel giorno di Pasqua e poi per l’effettiva esecuzione, sui motivi della condanna del sinedrio, tornerò più avanti.
Poi per passare all’effettiva esecuzione i capi religiosi si rivolgono a Pilato, al potere politico reale, il quale Pilato non ha motivi di condanna, non ha capi di accusa, tergiversa in qualche maniera; spedisce Gesù dall’altra autorità, Erode. Gesù torna e infine Pilato cede alle pressioni dei capi religiosi che gli sventrano davanti una qualche possibile insurrezione o un qualche possibile intervento dell’imperatore, di Cesare, qualora Pilato non proceda all’esecuzione di Gesù che seguirà, accadrà, come sappiamo. Non mi soffermo su tutte le violenze che accadranno a Gesù, che appunto viene crocifisso e muore sul Golgota che magari una certa agiografia, certe immagini, ci hanno fatto immaginare come una sorta di monte, di collina, di quant’altro nei pressi di Gerusalemme, ma sappiamo ormai con certezza che il Golgota, il luogo chiamato così, era la discarica di Gerusalemme. L’umiliazione arriva fin lì. E il corpo di Gesù di Nazaret, morto, verrà recuperato da persone amiche tra le quali appunto c’è un membro del sinedrio, Nicodemo. Particolare storico importante. Vuol dire che qualcuno dal sinedrio si è staccato per stare dalla parte di Gesù. È solo qualche cenno storico, giusto per ambientare un po’.

2. Faccio un secondo passo. Se qualcuno qui presente è filosofo o avuto a che fare con un po’ di studi di teologia, magari può intendere che quello che ora dirò è di natura fenomenologica; che cosa vuol dire? Vuol dire che adesso proverei a ridire questo evento della croce di Gesù non nei suoi dettagli, non in tutti i particolari in cui sia accaduto; ma vorrei provare a vederlo nei suoi fenomeni generali che lo caratterizzano e vorrei provare a dire in maniera molto sintetica quali sono state le intenzioni dei principali protagonisti di questo evento che noi chiamiamo “croce” di Gesù di Nazaret e che evidentemente comprende la passione e ciò che ha portato alla passione. E allora in maniera molto schematica direi che i protagonisti le cui intenzioni emergono dai racconti evangelici sono tre. Se ne potrebbero nominare altri, ma il fenomeno della croce di Gesù richiama questi tre protagonisti che relazionando tra loro mettono in atto una sorta di controversia teologica. Non vi spaventi il termine. Una controversia teologica, non di quelle che in una università o in un dibattito o in uno scambio tra articoli, tra libri può avvenire. È una controversia teologica che significa un confronto profondo e aspro perché porta alla morte di Gesù. Un confronto tra diversi modi di intendere Dio e la religione. Questo è il motivo per cui ultimamente Gesù di Nazaret è stato crocifisso e noi dobbiamo meditarlo accuratamente prima ancora di dire, di usare quelle espressioni, quei pensieri che la tradizione cristiana ci ha consegnato sulla croce come sacrificio, la croce come salvezza. Verità sacrosante. Ma dobbiamo meditare bene tutto questo. Primi protagonisti di questa controversia teologica sono appunto i capi religiosi di Israele i quali evidentemente non condividono il volto di Dio predicato e testimoniato da Gesù né il suo modo, quello di Gesù, di intendere e praticare la religione. Tutti sappiamo che lungo il vangelo si racconta di varie controversie, su temi differenti, ma in particolare che cosa non è stato digerito dai capi religiosi di Israele, della prassi di Gesù, della sua predicazione. Che cosa? Beh, tutti ricordiamo che il modo di intendere fondamentale della religione crea controversia: quella sul sabato, il sabato è un’istituzione fondamentale di Israele. E Gesù invece si sente libero da quel modo fondamentalista di intenderlo: “non è il sabato per l’uomo, ma l’uomo per il sabato dice Gesù”. E intende con questo una verità profonda: se il pio ebreo riposava il sabato, per ricordare il riposo di Dio nel settimo giorno della creazione, Gesù non vuole contestare questo, ma guarendo, risuscitando, liberando dal demonio in giorno di sabato vuole restituire alla vita, alla pienezza di vita; cioè proprio a quel riposo a cui Dio stesso si è concesso nel settimo giorno della creazione. E quindi Gesù va sicuramente più a fondo dei capi religiosi, della religiosità ufficiale, dell’intendere il sabato. Ma poi cercate di comprendere la differenza che passa tra Gesù e i capi religiosi nell’intendere, quello che io chiamo, il principio della prestazione. Ve lo ricordo con una parabola, che trovate al capitolo 18 di Luca:

Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10″Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.

Ecco il principio della prestazione. Gesù non collega mai la salvezza, l’essere graditi a Dio, a un cumulo di opere, preghiere, digiuni, impegni parrocchiali e quello che volete aggiungere voi. Non lo collega mai a questo, ma lo collega a uno spirito umile e contrito, mentre per i capi religiosi il principio della prestazione è decisivo. E pensate ancora al rapporto che Gesù ha con il tempio. Non ci si dice che Gesù frequentava il tempio, frequentava la sinagoga anche se rispettava chi andava al tempio. I suoi stessi genitori ci erano stati, avevano portato lui piccolo dopo 40 giorni, lo ricordiamo. Ma per una religiosità non legata al cumulo dei sacrifici, ma per una religiosità che è data dall’ascolto della parola e questo lo metterà in contrasto con la classe sacerdotale del tempio. E vi ricordo una cosa che potrebbe essere l’ultimo in ordine di tempo a scatenare la reazione dei capi religiosi. Pensate al gesto della purificazione del tempio che avviene nell’imminenza della passione.

Stringendo il discorso, i capi religiosi di Israele arrivano a ragionare così: costui va eliminato. Punto uno. Punto due. Eliminandolo noi dimostreremo che non è il messia. Perché il messia, l’inviato di Dio, se è tale resiste, non cede. Il Dio dei farisei è il dio del dominio, è il dio che non si abbassa. È il Dio che fa vittime quando è necessario. Facendo di Gesù una vittima si dimostrerà che lui non è l’inviato di Dio e che quel Dio che lui ha parlato non è autentico.
Viceversa l’altro Gesù, l’altro protagonista della vicenda della croce, viceversa Gesù testimonia fino all’estremo il Dio che ha sempre predicato: il Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, che è padre di due figli, ciascuno dei quali alla fine è deludente, verso i quali però questo Padre rimane sempre aperto, la sua casa rimane sempre aperta per tutti, il Dio che non fa vittime, il padrone che paga allo stesso modo gli operai della prima e dell’ultima ora, ecc. ecc.
In una parola, nei giorni della sua passione e fino alla sua morte, Gesù rimane fedele con una testimonianza estrema, suprema al Dio che è sempre stato dedizione incondizionata, che non è mai stato altro che questo, che non sarà mai altro che questo. E per questo motivo Gesù si lascia crocifiggere. Gesù si lascia crocifiggere perché possa apparire agli occhi di ogni uomo e di ogni tempo che il suo Dio, l’Abbà, non fa vittime, piuttosto lascia uccidere il proprio Figlio, ma non fa vittime. A far vittime è il Dio dei farisei, il dio dei capi religiosi. Non so se sono riuscito a spiegare questa logica, ma la mitezza, la non violenza, questo lasciare accadere di Gesù è lo spazio vitale in cui il volto del Dio misericordioso che è il Padre di Gesù e che Gesù ha sempre predicato potrà risplendere per i contemporanei di Gesù, per i suoi stessi crocifissori, per ogni uomo di ogni tempo che abbia la disponibilità del cuore a cogliere ciò che Gesù a predicato.
Dunque questa controversia teologica: i capi religiosi, Gesù, ma è giusto che ricordiamo anche se sono figure che sembrano perdersi in un cono d’ombra i discepoli di Gesù. Da che parte stanno i discepoli di Gesù? Non stanno ultimamente dalla sua parte: uno lo vende, lo tradisce, quello scelto dal Cristo per essere il capo della Chiesa lo rinnega, e gli altri fuggono. Non stanno dalla parte di Gesù. Col cuore si, penso alle lacrime di Pietro, quando incrocia lo sguardo di Gesù, ormai catturato, condotto alla condanna. Col cuore sono con Gesù, ma non sono ancora convinti che Gesù sia il Figlio di Dio, l’inviato di Dio e che Dio sia appunto l’Abbà di cui dicevamo poco fa. In qualche modo dentro la mente o dentro al cuore dei discepoli di Gesù c’è qualche traccia della religione e del Dio dei farisei. Vi indico solo un gesto: quando Gesù viene catturato nel Getsemani, Pietro prende la spada e taglia l’orecchio. Potremmo dire un gesto spontaneo, comprensibile, forse condivisibile, ma non è sulla lunghezza d’onda dello spirito di Gesù che non a caso riattacca l’orecchio a quel soldato. È da meditare questo gesto.

Ecco, questo è in un quadro che ho sommariamente riportato, la manifestazione di quello che accade intorno alla croce di Gesù. È una controversia teologica, è un confronto tra modi diversi di intendere Dio, di praticare la religione. Paradossalmente Gesù viene ucciso in nome di Dio, non del Dio Padre certamente, ma in nome del Dio dei farisei, in nome del Dio creduto dai capi religiosi.

3. Vorrei fare un terzo passo; voi quando siete KO fate il segnale della palpebra che si abbassa; è universalmente comprensibile. Vorrei fare un terzo passo, spero più breve, vorrei provare ancora a dire qualcosa su Gesù e la sua morte e la sua morte di croce.

È importante questo per capire la sapienza della croce. Prima di tutto vorrei dire che Gesù sapeva che questo era il suo orizzonte. E vi prego non dite: ma certo, lui era il Figlio di Dio e poi aspettava che sarebbe risuscitato. Quante discussioni ho fatto anche con amici perché riemerge questo pensiero che va cancellato, perché non prende sul serio l’umanità di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, come ce lo raccontano i vangeli. Gesù si è reso conto che all’orizzonte si profilava per lui una fine violenta, quanto meno dall’inizio della sua missione pubblica. Forse anche da prima. Ricordate che all’inizio dei racconti evangelici, quando si parla di Gesù che inizia a predicare, si dice: “dopo che Giovanni fu arrestato. Ricordate questa frasetta. È di una importanza capitale, intanto perché Gesù, ormai sono tutti concordi, ha avuto in Giovanni Battista un maestro che può aver frequentato per anni, lui, gli esseni, questo movimento religioso. Gesù sapeva benissimo che fine avrebbe fatto il Battista, sapeva benissimo che predicare, testimoniare una religiosità coerente, esigente, comportava il rischio della vita e questa è una realtà effettuata, non possibile. Quindi Gesù lo sapeva dall’inizio: quante controversie, quante volte si accorge che lo mettono alla prova su temi differenti. Gesù sa che verrà la sua ora e in vista di quell’ora si muove e addirittura quando arriva nei giorni cruciali, Gesù compie dei gesti che non sono una sorta di suicidio, ma compie dei gesti che sono in qualche modo accelerano la fine: l’ingresso a Gerusalemme, tra gli osanna, quel gesto, seduto su un puledro figlio d’asina è un chiaro gesto per dire “sono io il messia” perché c’era quella profezia di Zaccaria che parlava di un messia umile, seduto su un’asina. E Gesù con un gesto che richiamava Scrittura, parla di queste cose, e lo fa apertamente, entra nella città santa e prende posizione contro i sacerdoti che avevano usato del loro potere per consentire anche uno sfruttamento economico della religione. Gesù è andato consapevole verso la sua morte.

Vorrei ricordare ancora due parole del Cristo che ci riferiscono i vangeli. Una è al capitolo 18 di Giovanni. Non c’è il racconto del Getsemani in Giovanni, si dice della cattura di Gesù. Quando vanno per prenderlo è Gesù che anticipa dunque le guardie: “Chi cercate?” – “Gesù il Nazareno” “Sono io” E aggiunge – attenzione – “se dunque cercate me lasciate che questi se ne vadano”. È una parola bellissima, con il quale il Cristo mette al riparo i suoi discepoli dalla violenza che si sta abbattendo sicuramente su di lui, ma che potrebbe distruggere anche loro. Se cercate me, lasciate che loro se ne vadano. Loro non c’entrano. Se del male deve accadere, sono qua io. Si scarichi su di me questa violenza. E guardate che questa parola di Gesù è straordinaria perché lungo la compagnia di vita che ha avuto con i discepoli li ha continuamente sollecitati a seguirlo, a prendere loro stessi la croce ogni giorni, li ha sgridati, li ha invitati a una radicalità di vita dietro a lui eppure in questo momento, il momento della prova: “lasciateli andare”. C’è qui dentro un amore e una delicatezza incredibile: vado io verso la morte, accada su di me, non su di loro.
L’altra parola che vorrei ricordare, è al capitolo 23 di Luca, la sapete a memoria, una delle ultime attribuite a Gesù sulla croce: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Gesù muore perdonando i suoi crocifissori e chiede perdono per loro al Padre che lui ha raccontato proprio come il Padre misericordioso. Sicuramente nel sentire del Padre c’è quella misericordia che Gesù effonde dalla croce. Ma io vorrei sottolineare un altro aspetto che raramente si sottolinea: quando Gesù dice “non sanno quello che fanno”. Pensateci bene, pensateci bene: ci sentiamo di sostenere che questi uomini che lo hanno ucciso, pensiamo davvero che le persone che sono sotto la croce, le persone che gridano “salva te stesso se sei il Figlio di Dio”; questa cosa gliela grida anche uno dei due crocifissi accanto a lui; mentre l’altro c’è l’altro che riconosce la propria colpa e l’innocenza di Gesù. Non sanno quello che fanno, lo sanno, eccome se lo sanno. Eppure Gesù copre con questa parola che non so se chiamare un’ironia o una clemente bugia da coprire col perdono. Se cercate me lasciate che loro se ne vadano. È la misericordia che copre i suoi. Perdonali perché non sanno quello che fanno. È la misericordia che copre i suoi crocifissori.

Ecco, se dovessi raccogliere a questo punto, sempre che voi resistiate: qual è la logica della croce, la sapienza della croce? Guardando Gesù mi vien da dire che è innanzitutto la sapienza di chi fa spazio nella sua persona a pensieri, sentimenti al Dio che è Abbà. Gesù vive la sua passione e morte, ma anche tutto quello che c’è stato prima evidentemente come la manifestazione suprema, cristallina, stupefacente del Dio che è amore, è sempre stato amore e non è mai stato che questo e non sarà mai altro che questo. Forse noi la chiameremmo anche santità, ma questo è il primo lato della sapienza della croce. Il fatto che Gesù si esponga, prenda su di sé, non condanni, ecco questi aspetti che ho nominato prima e potremmo raccogliere sono la sapienza della croce e lo raccoglierei in un’affermazione sola: la croce vissuta così apre la possibilità di vivere buoni e riconciliati. Gesù ha creato a partire da sé uno spazio per vivere buoni e riconciliati, pagando il prezzo altissimo della croce. Ecco dov’è la sapienza della croce, che possiamo far nostra anche nella vita umana. Questo è l’ultimo passo che vorrei fare con voi.

4. Io confesso, infine, che faccio un po’ fatica a parlare della croce applicata alla vita umana. Quando si dice che ognuno ha la sua croce. Lo so che Gesù ha detto: “chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”. Lo so, ma quando Gesù ha detto così intendeva proprio che il destino dei suoi discepoli se l’avessero seguito sarebbe stato il suo medesimo, quello di una fine violenta. Noi applichiamo questa parola a tutte le situazioni di prova, di dolore che accadono nella nostra vita. E allora vorrei fare un solo pensiero e concludere.
Si può dire che la croce si applica alla vita umana, che agli uomini accada, che a tanti uomini accade di portare la croce, io dico in un primo momento si, se accade a quello che accade in Siria, a quello che accade in tante parti del mondo dove ad alcuni non è dato di mangiare, bere, di poter curare le proprie ferite, le proprie malattie. Se penso alle persone violate in molti modi, in tante parti del mondo, donne violate, abusi di ogni tipo, violenze anche in nome di Dio. Allora devo dire queste cose accadono: ci sono i crocifissi, come Gesù. E devo anche dire che noi viviamo in una società che lo sappia o no, in qualche modo mette in mano ai giovani gli strumenti per crocifiggere i propri simili, forse qualcosa del genere è accaduto anche in altre epoche.
La crocifissione come avvilimento dei propri simili accompagna la storia degli uomini ed è sicuramente presente anche oggi. D’altra parte io credo che si debba sfumare un po’ anche il discorso dell’applicare la croce all’esperienza umana. Per essere esplicito non è vero che ogni dolore è una croce, non è vero che si possa immediatamente sovrapporre la croce alla malattia, alla ristretta economica. Poi certo grande rispetto per chi parla di croce come fatica del vivere, tante sofferenze. Tanto rispetto. Non è la stessa cosa, non ha la stessa forma dell’essere crocifisso in nome di Dio. Dico questo non per togliere qualcosa alla serietà della malattia, del dolore, ma per ricordare a noi stessi, la singolarità, l’unicità della croce di Gesù. A me piace chiamarlo l’unico, come sostantivo, non come aggettivo. L’unico che ha vinto la morte attraversandola. E comunque tutti i crocifissi e i propri simili, tutti possiamo attingere dalla sapienza della croce di Gesù se lasciamo che lui ci trasmetta e condivida con noi il suo umile amore, se lasciamo che lui soffi in noi, come dice la lettera agli ebrei, lo spirito eterno in virtù del quale è andato verso la croce, verso la sua morte. La sapienza della croce, lo sappiamo bene, poi lo comunica a noi nell’eucarestia che è il suo corpo donato, il suo sangue versato per tutti noi.

La vita spirituale include la comprensione spirituale della croce che, inevitabilmente, si incontra nella vita. Avere un rapporto equilibrato con la croce è veramente un arte spirituale. Significa non cercarla, non vantarsene, non punirsi con la croce, non farsi eroi aiutando a tutti i costi gli altri a portare la propria.
Nei confronti della croce sorgono tanti comportamenti che indicano una spiritualità non chiara, addirittura non sana. Si può credere di essere obbligati, per santificarsi, a scegliere nella vita la via più segnata dalla croce. Si può credere di farsi simili a Cristo andandosi a cercare la sofferenza. Ma così si scivola nella superbia spirituale. Come può l’uomo scegliersi da solo la croce da portare, se il Figlio di Dio, abbracciando la croce, trema e chiede al Padre, se è possibile, evitarla? Che presunzione spirituale c’è dietro a chi sceglie la propria via crucis per essere perfetto e cristoforme, se il Figlio di Dio sulla croce ha gridato a Dio di averlo abbandonato?
Intorno alla croce si nascondono dunque tante trappole e inganni per la vita spirituale, che talvolta sono solo oscuri giochi della psiche. La sapienza della croce invece è indice di chi è guidato dallo Spirito Santo. Sapienza della croce significa accogliere l’amore che lo Spirito dona ed essere consci che attraverso quell’amore si entra nella logica pasquale, perché chi ama soffre, chi si espone all’amore e nell’amore scrive la storia della propria esistenza, entra inevitabilmente nella croce. La sapienza della croce è la logica rovesciata del mondo. L’amore dà la forza di sacrificare il proprio attaccamento a tutto ciò a cui si tiene, dà la capacità di donare tutto. Tutto ciò che è donato rimane per sempre: dunque, la logica della croce è la logica della risurrezione.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *