Quintena della Sacra Spina 2018: ripartire dai giovani, periferie esistenziali del nostro tempo

Quintena della Sacra Spina 2018: ripartire dai giovani, periferie esistenziali del nostro tempo

“Comunicare Cristo ai giovani è una priorità”. Lo ha detto con l’energia, che lo caratterizza da sempre, mons. Pietro Santoro, vescovo di Avezzano, che questa sera ha aperto la quintena della Festa della Sacra Spina nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Vasto dedicata quest’anno ai giovani. Mons, Santoro, un sacerdote innamorato di Cristo, attraverso i giovani – e chi lo conosce ne è testimone – speranza della Chiesa. E dal pulpito di Santa Maria Maggiore si riparte in questa Quintena 2018 avendo con una missione ben chiara da compiere: “Dobbiamo ripartire da loro. I cristiani non sono discepoli di un pensiero filosofico, ma sono donne e uomini che si sono fatti cercare da Cristo e che nella fede fatto l’esperienza dell’intimità con Gesù. E oggi Cristo è una una tenda nomade posta tra i poveri. Oggi i giovani sono i poveri del nostro tempo, poveri di presente, poveri di lavoro, che la società li vuole in parcheggi periferici. I giovani sono le vere periferie esistenziali del nostro tempo” parafrasando una delle affermazioni forti di papa Francesco, maestro della comunicazione che tanto piace ai giovani.
Nell’accogliere il vescovo dei Marsi il parroco don Domenico Spagnoli ha tenuto a precisare: “Abbiamo pensato a lei per la sua sensibilità e la sua attenzione che ha avuto da sempre per i giovani”  aggiungendo: “Prima delle strategie pastorali ci sono i cuori che si devono incontrare, sintonizzarsi e donarsi a Cristo innamorato dei giovani”.
Il vangelo di questa quinta domenica ha dato lo spunto al presule per evidenziare come solo attraverso Gesù possiamo dare pienezza e senso della vita, il senso del tempo e dell’eternità. “E solo guardando quel volto è possibile incrociare lo sguardo che buca l’anima e accoglie per dare speranze al nostro vivere”. E dal pulpito della chiesa di Santa Maria Maggiore – che è stata “il grembo della sua rinascita alla vita nuova con il battesimo, della sua vocazione al sacerdozio e della consacrazione episcopale” – mons. Santoro ha dato voce alla speranza nella consapevolezza che guardare il volto del Signore ci dà la consapevolezza di essere amati.
Ma occorre orientare “la nostra esistenza verso binari alternativi per essere discepoli e non consumatori di passi perduti, discepolo nella sequela più radicale”. Ha invitato come logica conseguenza tutti i presenti a non giocare al cristianesimo “per non ridurlo a un museo dei ricordi e di pratiche religiose che non scorticano le nostre anime, che non scorticano le scelte e i criteri di giudizio”. In particolare mons. Santoro si è rivolto agli adulti per scuoterli dalle loro certezze e dal loro torpore “in quanto chiamati a riconvertire la nostra fede perché chiamati a un nuovo incontro con Gesù che diventa un invito a seguirlo per comunicare Cristo e il suo vangelo ai giovani: ed è questa la priorità”. E pesa su ogni adulto l’atteggiamento “di soli asfittici osservatori verso i giovani: si fa la diagnosi dei loro comportamenti ma non si va alla radice del loro malessere”. Gli adulti di oggi si pongono come “lamentosi diagnostici” per quelle che mons. Santoro ha chiamato trappole costruite dall’uomo del nostro tempo: quella dei desideri. “La trappola dello specchio, dell’immagine, della cancellazione della verità”.
Comunità cristiana che deve sentirsi interpellata per volgere il proprio ai giovani per quello che deve essere “un nuovo patto tra le generazioni”. “La Chiesa – ha detto ancora mons. Santoro non dimenticando la sua grande capacità di parlare utilizzando le parole in chiave sociologica – non è un’azienda persuasiva di comunicazione ma che sia in grado di entrare le cuore dei giovani per farli incontrare donne e uomini dal volto innamorato di Gesù, dopo averli cercati nei loro spazi di vita”.
Tutto questo non vuol dire, ovviamente, abbassare la proposta cristiana, non un vangelo consumato in maniera devozione, ma pronto ad aprirsi al mondo che ha cambiato linguaggi e la comprensione dei gesti. “La Chiesa deve tornare a sognare con i giovani in maniera dialogante, accogliente, esigente e gioiosa per aiutarli a far scoprire la loro vocazione, la propria particolare risposta alla voce di Dio. Ogni uomo e ogni donne sono fatti per cercare Gesù”.

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