Quintena 2018, riflettere su una comunità responsabile nel silenzio, nella contemplazione e nella preghiera

Quintena 2018, riflettere su una comunità responsabile nel silenzio, nella contemplazione e nella preghiera

La cinque giorni di cammino di avvicinamento al venerdì della Sacra Spina non poteva avere migliore conclusione con le riflessioni ad alta voce di don Matteo Gattafoni, giovane diacono che il prossimo giugno sarà ordinato sacerdote e che da due anni svolge il suo tirocinio pastorale nella chiesa di San Maria Maggiore, con l’assistenza del parroco don Domenico Spagnoli, e l’incontro con la comunità parrocchiale, che lo sostiene nella crescita come uomo e come futuro pastore.

Questa sera, alla vigilia della Festa della Sacra Spina, è stato chiamato a parlare sul tema: “Una comunità responsabile: silenzio, contemplazione, preghiera”. Chi meglio di lui poteva farlo se non chi è così vicino al mondo dei giovani – ha solo venticinque anni – fresco diacono chiamato al sacerdozio? Don Matteo non ha usato un linguaggio da tomi di sociologia ma è stato bravo a dare indicazioni chiare chiamando in causa la comunità e gli adulti. La necsssità del sostegno di adulti nella fede e non solo intesi come età anagrafica. “Una comunità che non si stanca mai di sorreggere le braccia dei giovani, quando appaiano stanche e pigre. Che insegna ai giovani a pregare e ad ascoltare la parola di Dio”.

Un giovane, in fondo, è anche espressione della sua comunità. “Non avrei potuto conoscere Dio se non attraverso cristiani adulti nella fede che mi sono stati vicino, la mia comunità, il mio parroco” ha detto prendendo come spunto di riflessione il brano del vangelo nel quale si parla di San Paolo che va verso Damasco e cade da cavallo accecato dalla luce di Gesù, lontano dalla comunità perché non battezzato. “Ogni vocazione, che sia quella sacerdotale, alla vita consacrata o familiare, nasce sempre dalla preghiera di una comunità, cresce e matura in una comunità, e trova la sua pienezza in una comunità”.
Parole che non occorre tradurre, un esplicito e chiaro invito alla riscoperta del ruolo che deve avere ogni sana comunità la quale “è responsabile se è capace di dare risposte, non solo su Dio, ma anche sui tanti interrogativi della vita di tutti i giorni”. L’amara constatazione:  i giovani non hanno più persone di cui si possono fidare. Ma don Matteo ha avuto una sorte diversa: “Non avrei potuto dare il mio sì se non avessi avuto una comunità alle mie spalle. Quando una comunità è responsabile? Quando si preoccupa dei suoi giovani e diventa punto di riferimento”. Ed è ciò che è accaduto a lui prossimo novello sacerdote.
Ma chi è l’adulto si cui parla don Matteo? “Chi si china sul grembo dei giovani per ascoltarli. I nostri giovani vivono nel silenzio, disabitato, privo di sogni e di idee, di emozioni e privo di Dio”. Ma c’è silenzio e silenzio. “Quanto è stato importante il silenzio di chi aveva compreso la mia vocazione. Riscopriamo il valore del silenzio rispetto a chi predilige la pratica del giudizio e delle lamentele e di tante parole fuori posto”. L’invito a tutti – per averlo sperimentato personalmente – l’importanza di uno sguardo e di un abbraccio per riscoprire il valore dei rapporti interpersonali.
Grazie don Matteo.

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